“Amorali sì, immorali mai” era il codice d’onore di Riccardo Schicchi, raccontato in una storia autobiografica da Debora Attanasio, che per nove anni è stata sua assistente e compagna di dissacratorie avventure che hanno segnato la storia del costume italiano.
di Loredana Bontempi
“Non dite alla mamma che faccio la segretaria”, edito da Sperling&Kupfer e presentato nei giorni scorsi a Roma è la brillante e partecipe narrazione della straordinaria esperienza vissuta  al seguito di Schicchi e delle sue dive. Con ironia e partecipazione, Debora tratteggia  eventi e personaggi in un libro ben scritto, comico e imprevedibile, sconfessando l’immaginario collettivo e  rendendolo giustizia ad un ambiente molto più vero, corretto e umano di quello che giudizi affrettati e superficiali possano sentenziare.Le “memorie di una ragazza normale alla corte del re dell’hard”, nel raccontare un mondo progressista ante litteram, tanto agognato quanto misconosciuto, divertono e toccano il cuore del lettore. I personaggi sono star amate dal grande pubblico, come Moana, Cicciolina e Eva Henger e il controverso folletto dell’Eros, Riccardo  Schicchi.
Eclettico e geniale, Riccardo sovvertiva le regole del comune senso della morale, senza mai trasgredire il rispetto per i valori etici. Dispettoso, provocatorio e intelligente, da un’idea creava un simbolo sexy o intraprendeva una crociata per la libertà di pensiero e d’espressione.
La Attanasio, ora giornalista presso Marie Claire e altre importanti testate, ci prende per mano e ci accompagna in un viaggio surreale nel mirabolante mondo dell’erotismo senza confini, svelandoci l’umanità e la bellezza, a volte tenera, a volte coinvolgente delle sexy star e del loro  creativo Pigmalione.
Nei suoi nove anni di lavoro presso l’agenzia Diva Futura, l’autrice ha conosciuto nell’intimo l’epoca d’oro dell’hard italiano, vivendone l’ascesa e forse la fine. Con la morte di Schicchi la  percezione unanime è che si sia chiuso un ciclo, fatto di trasgressione agli schemi imposti e di purezza, di irriverenza alla morale degli altri e di candore. In una storia coinvolgente e sopra le righe, commovente più che a luci rosse, la Attanasio fa conoscere un ambiente amato e frainteso, desiderato ma bistrattato, con gli occhi commossi e divertiti di un addetto ai lavori. E dedica il libro ai figli di Riccardo e Eva e “a tutti i figli delle mie stelle” perché conoscano e apprezzino la grandezza di chi ha osato sfidare le regole e fare della propria vita un’opera d’arte. Nei racconti emergono relazioni umane sentite nel profondo e avventure curiose e imprevedibili tra pellicole hot e fatti che hanno cambiato il comune modo di sentire in Italia.
“Tanto è per poco”, continuerà a ripetersi per nove anni la mitica segretaria, scambiando confessioni sulle reciproche vicende amorose con Moana Pozzi, dormendo fianco a fianco con Milly D’Abbraccio, accompagnando in giro per il mondo Ilona Staller e trascorrendo infinite ore in conversazioni telefoniche con Eva Henger.
Dal 1992 in poi  le viene chiesto di fare di tutto: nutrire il pitone di Cicciolina e accudire i numerosi gatti di Riccardo, accompagnare le dive nei locali di tutta Italia, scrivere lettere (e rispondersi) alle riviste a luci rosse. Trascorre, tra provini di attori più o meno dotati, telefonate dei maniaci del cuore e rocambolesche fughe dalla polizia, anni liberi e spensierati in cui sente che «ogni idea di Riccardo poteva trasformarsi in un evento».
Ventenne squattrinata e disoccupata, ma con mutuo da pagare e alla ricerca di un impiego, decide di provare anche l’ultimo degli appuntamenti in lista: segretaria in un’agenzia a luci rosse. «Dopo la sfilza di pervertiti che avevo incontrato ai colloqui di lavoro, uno che lavorava nella pornografia mi sembrava pericoloso quanto Marcellino Pane e Vino» confessa Debora. E si ritrova al cospetto di Riccardo che, dandole sempre del lei (come per tutto il resto del loro comune vissuto), le rivolge le domande di rito sugli studi fatti, le lingue parlate e la disponibilità  di orari. A termine del colloquio le chiede di seguirlo in una stanzetta e chiude la porta. «Ho pensato “se allunga le mani, lo prendo a pugni”» racconta la Attanasio, che è costretta a passare dalla diffidenza iniziale alla sorpresa quando il suo futuro capo apre la finestra e lascia entrare ventidue gatti persiani desiderosi di coccole e carezze. Il comune amore per gli animali è stato il test decisivo per il raggiungimento dell’accordo lavorativo.
In un ufficio fuori dal comune e da ogni logica scontata, impara ad apprezzare il suo capo, dispotico e impaziente, ma corretto e instancabile lavoratore; ostinato nelle sue fissazioni, ma geniale. «Non si prendeva mai sul serio, mentre da fuori tutti lo immaginavano come un potente ed efficientissimo manager» rivela la Attanasio, ricordando qualche suo scherzo, tirato ai suoi pupilli con aria insospettabile. Accettata dalla famiglia, ma criticata dai conoscenti, Debora si avventura in un mondo affascinante: «Questo impiego funzionò come una scrematura: chi mi voleva bene davvero, non si faceva condizionare dai pregiudizi.»
«Riccardo mi insegnò a scrivere, a raccontare storie. Era un visionario, un pioniere. Con lui non c’erano orari, ma non mi sono mai annoiata. Sosteneva che quando hai un’idea devi portarla a termine subito, altrimenti sfugge. Mi ricordo di una notte in cui decise di portare una star dentro la Fontana di Trevi. Si decise tutto a mezzanotte e finimmo per fare le foto verso le 5 del mattino. Poche ore dopo le agenzie di stampa di tutto il mondo avevano le nostre foto sulla scrivania. Lavorare con lui era dissacrante, elettrizzante, mozzafiato.»
Durante tutto il periodo di collaborazione con l’agenzia delle dive, Debora scrive undici diari «Perché sapevo di vivere qualcosa di speciale e non volevo dimenticare nulla», e dedica tre anni a condensarli in un memoriale che sta raccogliendo apprezzamenti calorosi tra il pubblico e la critica e ha conquistato scrittrici famose come Lara Cardella e Federica Bosco.
La figura di Riccardo, scomparso lo scorso dicembre e ricordato da tutti come un grande,  emerge con verità negli aspetti più salienti: «Odiava chi mortificava le donne nei film. Lui diceva sempre che occorre sublimarle. La sua avventura va letta anche come un processo di emancipazione sociale dalle censure relative al sesso. Sai qual è la cosa più eclatante a cui assisti lavorando nel porno? In un mondo dove il sesso è un lavoro, le persone sono concentrate solo sui sentimenti. Riccardo sosteneva il sesso libero e incondizionato come principio di liberazione dai tabù, dal maschilismo, come emancipazione personale e sociale. Per me è stato più di un maestro.»
Tra i ringraziamenti a parenti, amici e colleghi e alle tante persone care della famiglia allargata del regno dell’eros Debora conclude con una nota commossa: «Chi non ringrazio affatto è stato il destino, che si è portato via Riccardo Schicchi mentre continuavo a ripetergli che stavo preparando una sorpresa. Non ha mai saputo quale.»